Chissà cosa ne pensi ora, carissima Pegghie, ri guardo a
quella promessa non più mantenuta che ti avevo fatta una
di quelle sere della prima esta te, quando ti dissi, così sui
due piedi, che prima di andarmene da Gourly avrei voluto
fare l’amore con te!
Vuoi sapere cosa adesso ne penso io?
Guardando dalla finestra e trovandomi di fronte solo
pioggia e nebbia in questo pomeriggio così triste, lasciando
che la mia fantasia sconfini guidata solo dal cuore e dai
sensi, ho certo soltanto nostalgia e rimpianto per non aver
adempiuto a quella promessa e sarei tentato di venire subito
da te per farlo.
Ma il mio esserti ora veramente e profondamente
amico mi suggerisce che così facendo tradirei fi no in
fondo la nostra amicizia, verrei meno alla tua fiducia, ti
ridurrei ad un semplice oggetto del mio desiderio di piacere,
proponendoti un amore falso.
Proprio perché ora ti sono così profondamente amico,
non farò mai ciò che le parole un giorno ti hanno promesso
dietro il suggerimento di un cuore confuso.
La ragione ora ricorda al mio cuore che tu sei per me
un’amica troppo importante e non puoi esse re ridotta
all’oggetto di sfogo delle mie brame ed istinti, ad un’occasione
che mi serve solo in quel momento e poi può essere
gettata via comodamente.
So che basterebbe un mio semplice invito e tu, se io ora
lo volessi, faresti di tutto per me, anche questo, annullandoti
per rendermi felice; ma non è umano e neppure ragionevole.
In quel momento ti userei e non ti rispetterei; ti
piacerei, ma non ti sentiresti amata.
Sono contento quindi di non aver mantenuta la promessa!
Solo così infatti ti posso essere profondamente amico
ancora oggi. Il vostro gruppo, la simpatica ed affascinante
Company, fu una delle ultime realtà che mi rimanevano a
Gourly, dopo che padre Noir aveva or mai azzerata ogni
mia iniziativa e abbattuto ogni altro possibile rapporto di
amicizia. E come in una pentola a pressione chiusa erme -
ticamente il vapore, sotto la spinta del fuoco, di venta
all’interno sempre più pressione forte, così in me ogni
realtà che veniva soppressa in quel periodo si trasformava,
sotto la spinta di ciò che io ero, in un sempre più intenso
e forte desiderio di amicizie e di nuovi rapporti.
E la vostra presenza, la tua e degli altri amici, costituiva
per me non solo la valvola di sfogo, ma an che la possibilità
di continuare a vivere, salvando me stesso. Con tutte
le mie forze ho cercato allora di mantenermi unito a voi.
Dalla iniziale semplice simpatia si era giunti a stare
sempre più insieme, costruendo tra noi quel clima di confidenza
che mai altrove avevo sperimentato. Era un reciproco
confidarsi e aiutarsi consigliandosi, un vivere serenamente
insieme non so lo attendendosi, ma anche cercandosi
volentieri. E così, le piacevoli passeggiate in bicicletta
con tutto il gruppo e anche noi due soli, io e te, lungo le
vie del paese e lungo i viali; il ritrovarci poi a raccontare
della nostra vita; i pomeriggi sotto il sole, a ridere e sognare;
le uscite tutti insieme la sera, per la pizza o per le
messe del mese di maggio, che erano le occasioni più
romantiche per in contrarci; quelle sere al bar dell’oratorio
a scherzare e dialogare senza mai stancarci, o fuori, nel
cortile, a volte sotto il ciclo denso di stelle e al chiarore
della luna, a volte riparati sotto il portico per non bagnarsi
dalla pioggia, che con le sue gocce faceva da sottofondo
ai nostri discorsi, da intermezzo ai nostri sospiri, da
accompagnamento alle nostre lacrime nei momenti del
pianto, dello sfogo e dell’intensa gioia. E la sera tardi
lasciarsi con dispiacere nel tiepido buio delle strade deserte
dicendosi arrivederci a presto, al più presto possibile.
La Company!
Tu, Pegghie, il piccolo grande amore, sempre vivace e
frizzante, che incoraggiavi me e nello stesso tempo desideravi
di essere da me incoraggiata; felice quando ti sentivi
amica per gli altri e quando sentivi gli altri amici per
te, vivendo la loro vicinanza con le parole, con la semplice
presenza, con il saluto, con un sorriso o una telefonata
ina spettata. E Stouden, che avevi dapprima in semplice
rap porto di simpatia e poi era diventato il tuo gran de
amore che ti tormentava, perché lo vedevi spesso anteporre
a te i doveri dello studio e della fa miglia, e ciò ti faceva
impazzire e piangere; che notavi allontanarsi da te per
un momento e poi ritornare ancora da te, mentre tu avresti
preteso più decisione e più chiarezza.
Per lui soffri ancora oggi enormemente, sperando, pregando
e pregando anche me perché preghi Dio che te lo
possa far riavvicinare presto, per ché lo convinca a ravvedersi,
a lasciare un po’ da parte i suoi interessi e quell’atteggiamento
di estrema serietà e notevole distacco che
mostra di ave re, e si decida a stare con te.
E l’amica Joie, sempre sorridente e sbarazzina, simpatica
anche soltanto per quel suo atteggiamento del cadere
dalle nuvole e del non capire mai le battute che facevamo;
con quegli occhietti vispi e brulicanti pareva come fuori
dal mondo, ma di fronte ai problemi degli altri si rendeva
d’un tratto seria e pensierosa, riuscendo sempre ad il -
luminare e consigliare chi parlava con lei.
Anche con lei amavo trascorrere quelle sere dialogando
e confidandomi sulle realtà della vita che, secondo lei,
apparivano tutte sempre belle e pie ne di speranza... non
vedeva mai nero, da nessuna parte. Ridain: lui aveva la
caratteristica del sorriso, e vicino a Joie parevano la coppia
più unita del mondo; felice lui di non stare più lontano
da lei di die ci centimetri, contenta lei perché sapeva che
lui desiderava soprattutto questo. Ridain, con la sua capacità
di evadere ed aggi rare ogni problema che gli veniva
posto, ogni do manda che gli veniva fatta, simpatico per le
sue battute sempre pronte, i sorrisi mai forzati, che manifestavano
un cuore semplice, un ragazzo disponibile e
senza altre pretese che la felicità di sé, ma prima ancora,
di lei: Joie. Più che la sua parola, in lui parlava il suo
sguardo che sempre lo faceva apparire innamorato perso,
col volto spesso incantato a guardare lei. Parlare con lui
quindi mi è sempre stato un po’ difficile; stare con lui e vi -
verci insieme era invece più facile, perché allora capivo
che il suo atteggiamento diventava il suo più bel modo di
dialogare. E quella...? come non ricordare quella rompi di
Senzie che, più battute faceva, più si rendeva, a sua insaputa,
così ridicola? Quante volte mi sono chiesto: ma quella
non si accorge di cosa e di come di ce le cose? Non si rende
conto di essere considerata come un po’ svampita?
Ma forse era proprio questa ingenuità che la rendeva così
simpatica e la manteneva inserita nella Company, ...altrimenti,
come la si sarebbe potuta sopportare? E pensare che
un giorno le avevo detto anche, a mo’ di battuta, che lei era
la mia gemella!
Con quei suoi discorsi sconclusionati ed incasinati al
massimo, sempre inconcludenti, misti a imprecazioni d’ogni
genere e ai giudizi sulle altre persone, voleva sempre arrivare
a quel chiodo fisso che era il suo “lui”, già, il suo Georgie.
Sempre sereno, con la sua dote naturale di una certa attrattiva
fisica, senza impegno né sforzo di fronte alla vita, egli si
considerava felice e fortunato in ogni momento... tranne
quando si senti va perseguitato da lei. Con la sua classica
calma si conquistava sempre tutta la Company, ed era di -
ventato, nelle grandi occasioni, il mio braccio destro, il mio
fidato aiuto ed assistente, e ciò nonostante i vari richiami e
anche qualche sberla ricevuta da me. E Benvi poi, col suo
carattere taciturno e tranquillo, sempre benvoluto da tutti,
con quella bontà di cuore alta come lui; era il più ragionevole
e comprensivo della Company: capiva e valutava le si -
tuazioni al volo, anche se poi a causa della sua timidezza non
esprimeva molte opinioni a riguardo. E così potrei continuare
a parlare con te, carissima Pegghie, ancora di voi, di tutti
gli altri, del la esuberante e sorridente Breitte, colma di brio
e di vitalità, gentile ma anche un po’ nervosa, specie quando
veniva provocata; di Vrilie, dolce ed educata, con il viso del
sorriso; di quella rompi-scatole di Fiette, con la sua caratteristica
risata e che voleva a tutti i costi essere innamorata di
tuo fratello; e poi di Paul; e di Vienne e Jean, che an davano
sempre d’amore e d’accordo al punto da sembrare già marito
e moglie; e di Berte, quel simpatico, folle e un po’ spaccone,
ansioso di farsi no tare con ogni mezzo e in ogni
modo... E così potrei ancora continuare a ripercorrere con te
queste nostre amicizie... E... – mi dirai – ...e lei? Perché non
parli di lei? Te ne sei forse dimenticato? di lei? !
Lascia perdere per il momento, Pegghie... vor rei adesso,
ancora per un po’, soffermarmi a par lare con te, di
quello che è stato... Ti dico anzitutto che non rinnego nulla
di quel lo che c’è stato fra noi, proprio perché io ritengo sia
stato la fonte di quella nostra serena e profonda amicizia
che continua ancora oggi.
Non lo considero quindi un’esperienza negativa, tutt’altro:
molto positiva ed enormemente bella...
Tutto era iniziato una di quelle giornate di maggio...
Quella sera non mi andava proprio giù l’idea di seguire
padre Noir in una delle sue solite messe serali della
Madonna. Allora vi avevo proposto di trascorrere la sera -
ta in un modo un po’ più sereno, andandocene a fare un
giretto in macchina: con Paul, quel matto di Paul sempre
alle prese con le questioni della vita umana, con i problemi
della fede, ma anche sempre disponibile e desideroso
di fare qualcosa per gli altri, e per questo lo ammiravo
tanto; lui, guidando la sua auto, poi io, Ridain e Joie,e tu,
Pegghie. Eravamo partiti senza una meta precisa, la -
sciandoci condurre da Paul che affermava di conoscere un
bellissimo posticino vicino al lago do ve fermarsi per
potersi gustare un buon gelato.
E noi, come al solito, dapprima lo avevamo preso un
po’ in giro, poi però ci eravamo affidati a lui, come con la
convinzione di far contento un bambino, e perché oltretutto
la macchina era lui che la conduceva, e se ci fossimo
ancora per un po’ opposti alla sua scelta, lui, come qualcuno
di noi ave va già sperimentato in altre occasioni, sarebbe
sta to capace di arrabbiarsi e di riportarci subito in -
dietro. Ed eravamo transitati sì presso un grazioso piccolo
bar posto lungo la strada che costeggiava il lago, ma Paul
non si fermò lì... guidò invece l’auto fuori dalla strada,
facendola scendere piano sulla riva, avvicinandosi così,
con un certo nostro stupore e poi anche timore, allo specchio
scuro del l’acqua che rifletteva dolcemente, in quella
sera tranquilla e tiepida, le piccole luci delle case che si
trovavano al di là, sull’altra sponda.
Paul scese poi dall’auto e prendendo dal bagagliaio una
coperta, la distese sulla spiaggia.
E ci sedemmo, tutti quanti vicini, ad ammirare quello
stupendo paesaggio notturno.
Tra un discorso e l’altro, tra una battuta e l’altra, nell’intervallo
di silenzio quasi a turno ci divertivamo a gettare
un sassolino nel lago, osservando le piccole onde concentriche
riflettere nel l’acqua le luci tremolanti...
Così trascorse un bel po’ di tempo, poi ci sdraiammo
sulla coperta, vicini,... e io a te,... e ci fu un prolungato
silenzio, disturbato solo dal ronzio di alcune auto che ogni
tanto percorrevano la strada, là sopra, e da qualche grillo
che qua e là, ora un po’ uno ora un po’ l’altro, faceva il suo
“cri-cri”. Con gli occhi fissi a quel ciclo stellato, ora io
ave vo in mano la tua mano. Dolcemente, le nostre dita si
intrecciavano, passavano attorno, sopra e accanto una
all’altra, come in un ballo, lentamente, delicatamente;
quindi le nostre mani si stringe vano forte, si lasciavano
quasi per un attimo e subito riprendevano, come in un
gioco vincente, le mosse di prima.
D’improvviso poi io lasciai la tua mano e mi mi si seduto;
rimasi così per un momento, fissando ti. Mi alzai e mi
allontanai qualche passo, come deciso a far finire tutto
ciò... allora, anche tu ti eri alzata.
Gli altri sembrava dormissero; sia io che tu li avevamo
osservati per un istante, come per accertarci che veramente
fosse così; poi, insieme, pia no, cercando di non far
rumore sui sassi, ci eravamo avvicinati all’auto di Paul,
che si trovava poco distante; eravamo entrati dietro, ci eravamo
seduti l’uno di fronte all’altra fissandoci per un po’
negli occhi... eravamo imbarazzati ed emoziona ti...
Io cercai allora di rompere quell’imbarazzante silenzio
con una battuta, ma, lì al momento, non me ne venne in
mente altra che quella che ti dice vo ogni tanto per scherzo:
“Facciamo l’amore?”. Il mio cuore aveva allora iniziato
a battere pazzescamente; sentivo che la mente era ormai
agli estremi tentativi di riportarlo alla tranquillità... le
nostre mani nel frattempo si erano di nuovo avvicinate, e
con esse ora anche le nostre labbra, che sfiorandosi lentamente,
iniziarono quel bellissimo e profondissimo bacio.
Dopo qualche giorno, un tuo scritto, con il qua le mi
dichiaravi che solo io per te costituivo il sen so della vita,
e che ora ti saresti voluta suicidare perché temevi che ti
stessi dimenticando per qual che altra...
E ci eravamo allora incontrati là, seduti su quel muretto
del cortile dell’oratorio, quella indimenticabile sera,
quando, nel buio attenuato dalle fio che luci del bar giù in
fondo, e nel silenzio rotto da quel suono straziante di chi,
nell’aula di sopra, imparava ad usare lo strumento della
banda, ci eravamo confessati a vicenda: io ti avevo confidato
che mi ero confessato; e ora confessavo te; e per pe -
nitenza l’impegno di richiamarci a vicenda a quel la che
era la nostra realtà, in modo che nessuno dei due traesse di
nuovo l’altro in tentazione.
Avevamo poi continuato a dialogare ancora per un bel
po’, mentre, da sopra, quei suoni sgraziati che giungevano
a noi parevano ora dolci melodie e lieti auguri per una
nostra profonda e sempre più serena amicizia.