La quercia e la margherita

Averti risposto con quella lettera era stato per me un

rischio, perché ciò significava sfidare quel divieto di non

incontrarvi mai più che padre Noir mi aveva imposto; ed

ora, ridandoci essa la possibilità di stare l’uno con l’altra

di nuovo, costituiva anche una sfida agli occhi di chi ci

aveva os servati con sospetto fin da quando ci aveva visti

insieme le prime volte.

Ricominciare ad incontrarti infatti per me significava

uscire sì dal tunnel della disperazione, ma allo stesso

tempo anche entrare in un altro: quel lo della dura realtà

che mi presentava crudamente l’impossibilità per noi due

di vivere insieme. Ma tra il fuggire dalla disperazione e

l’affrontare un sogno impossibile da realizzare sentivo di

dover preferire quest’ultima scelta, perché, se prima mi

trovavo solo, ora ero con te e con te vicina avrei affrontato

anche ogni impossibilità.

E così, se mentre prima il rischio, l’assurdità, le paure

e l’impossibilità nel realizzare questa esperienza erano i

motivi che mi trattenevano riguardo al viverla, ora erano

proprio essi che la rende vano più affascinante, che mi

invogliavano a ricercarla ancora di più e a lasciarmi sedurre

da es sa, senza troppo preoccuparmi delle difficoltà che

avrei potuto trovare.

E questo avveniva perché sentivo che tu, irrompendo in

me sempre più come inattesa salvezza di quella mia vita

che stava ormai per essere considerata morta, mi continuavi

ora a dare speranza oltre ogni sperare, serenità oltre

ogni paura, amo re oltre ogni timore.

Ma come riuscire adesso ad esprimerti tutto questo che

volevo dirti, come comunicartelo, dopo quel lungo tempo

in cui ti avevo sempre evitata; co me potermi riaccostare a

te dopo questa sofferta e tremenda separazione?

Incontrarci ora mi sembrava ancora troppo compromettente

e rischioso, la mia paura era che tutto avrebbe potuto

da un momento all’altro venire scoperto.

Volevo incontrarti, ma adesso sentivo che mi era

impossibile farlo normalmente, parlandoci... dove? come?

quando? Una lettera avrebbe potuto forse risolvere qual -

che cosa, ma la prudenza e la paura che venisse scoperta

dai tuoi mi rendevano ancora esitante nello scrivertela.

Una telefonata?

Ma come avremmo potuto ora telefonarci?

Pensavo al fatto che a casa tua era impossibile telefonare,

dato che non ti trovavi praticamente mai sola; se poi

l’avessi fatto presso una delle tue amiche, chiedendoti di

andare da una di loro, sa rei stato condizionato e limitato

dalla loro presenza, e quindi non sarei mai riuscito a dirti

aperta mente tutto quello che avrei voluto.

Avevo anche pensato di poterti incontrare una mattina,

proponendoti di non andare a scuola, ma il timore che

forse qualcuno lo sarebbe venuto a sa pere prima o dopo il

nostro incontrarci e il fatto che qualcuno dei tuoi compagni

a scuola avrebbe potuto venire a conoscenza di ciò, mi

aveva fatto scartare anche questa possibilità.

Immaginati che avevo addirittura pensato di riuscire, in

un qualche modo, a parlarne con tua madre, dicendole

tutto di noi, certo in modo generico e solo in parte, così da

convincerla a per mettermi di parlarti per risolvere questo

nostro rapporto in un modo sereno... ma, mi bastò solo un

attimo per capirlo, mi resi subito conto che non avrei fatto

altro che suscitare da parte sua reazioni che avrebbero

potuto avere conseguenze soltanto negative per te e per

me, rovinando così il nostro rapporto e annientando il

nostro amore definitivamente.

E allora, cosa fare?

In me cresceva un desiderio fortissimo di volerti ridire

questa nostra esperienza...

Usare dei simboli, come già con successo facevamo da

sempre con il “18”, cioè la diciottesima lettera dell’alfabeto,

per dirci: ti amo?

Ma certo, con i simboli!..

Già, ma quali simboli?

Dietro la spinta del mio cuore innamorato, la fantasia

mi aveva suggerito due simboli semplici e adeguati: la

margherita: tu, e la quercia: io.

Con essi ero riuscito finalmente a riesprimerti la nostra

esperienza attraverso una favola, che, anche se scoperta,

non avrebbe mai costituito un rischio per noi, e che solamente

tu, leggendola alla luce di ciò che c’era tra noi,

avresti poi con facilità potuto reinterpretare.

C’ERA UNA VOLTA un ridente paesino sulla faccia

della terra dove un giorno accadde una sto ria che voglio raccontare...

la storia di un albero, una quercia, e di un fiore

semplice e bello, affascinante: una margherita.

Da lontano, quel paesino era come ogni altro... un fiume,

una valle, colline, i prati, e poi tanti alberi che si confondevano,

non si distinguevano, sembravano tutti uguali, e tanti

fiori tra l’erba, un po’ nascosti, un po’ sparsi, un po’ uniti...

Era la vita della solita natura di sempre... ma un giorno

della primavera, accadde qualcosa di semplicemente

meraviglioso... il sole con i suoi raggi illuminò intensamente

una quercia e una margherita che si trovava per

caso lì accanto. Fu così che mentre nella valle, lungo il

fiume e sulle colline tutto continuava a crescere normal -

mente, in quella parte di prato che il sole aveva prediletto,

quel fiore e quell’albero cominciavano a sentire un grande

tepore, quasi come se il sole fosse dentro di loro: la quercia

cambiava il suo aspetto rude e rozzo e si presentava più

dolce, la margherita emanava un fascino di semplicità che

mai prima aveva avuto.

E fu così che, accorgendosi entrambi d’essere baciati

quasi miracolosamente da quell’irresistibile sole di primavera,

decisero di crescere più vicini. La quercia si piegò un

po’ alla volta verso la margherita, la margherita si volse

con tutte le sue forze alla quercia: una si sentiva più sicura,

rincuorata, animata, l’altra si sentiva più viva, più vi -

cina al ciclo e alla terra... la margherita si alzava verso

l’albero e pareva persino più grande... l’albero a forza di

chinarsi verso il fiore sembrava di ventato più piccolo.

E così vicini gustavano l’ebbrezza del sole, si co -

municavano l’ossigeno vitale per entrambi, il profumo

della terra, la brezza della sera, il tramonto che li faceva

arrossire; e poi, la notte era serena co me il giorno, perché

così vicini non provavano più né paura né pericolo né

dubbi né altro di negati vo... il sole era sempre la loro vita

che mai li abbandonava, perché era dentro di loro, anche

durante la notte.

Attorno tutto pareva diverso; la quercia guardava gli

altri alberi e li vedeva più belli, l’erba sembrava più ordinata

e verde, persino i sassi della riva del fiume parevano

disposti in modo da rende re più ordinata e bella la vita

della valle e del paese; lo stridulo gracchiare di quel merlo

che ogni tanto si posava sui suoi rami era considerato ora

dalla quercia come un canto sereno, e il taglialegna prima

sempre temuto ora era per la quercia co me un bimbo che

si aggirava sperduto nel bosco.

Anche per la margherita tutto si cambiava: i suoi petali

la facevano brillare, e la brezza la carezzava, non era più

un vento forte da temere. I soliti fastidiosi insetti ora non

si posavano più su di lei, perché da lei emanava quel sole

intenso che li in fastidiva; nella sua semplicità si riflettevano,

an che dopo quei temporali che ogni tanto passavano

ancora, i colori vivaci di un arcobaleno mai visto prima.

Gli altri fiori e gli altri alberi sentivano questa nuova

armonia, gustavano da lontano quel pro fumo così delicato,

guardavano i nuovi colori là, in quella parte di prato

così insolita. Ma non capivano cosa poteva essere avvenuto,

e dopo un po’ non ci fecero più nemmeno caso; dal

canto loro, la margherita e la quercia non capivano fino in

fondo nemmeno esse questo miracolo della natura, per cui

diventava difficile e arduo comunicarlo agli altri, anzi

impossibile.

A volte si chiedevano: perché proprio questa parte di

prato...?. Perché una margherita e una quercia?. Non era

meglio due fiori, due alberi?. Perché proprio questa primavera

abbiamo visto questo miracolo?. E prima, che vita

era? A nessuno di questi interrogativi seppero mai trovare

risposta.

Anche dopo il passaggio della primavera, il sole rimase

dentro la margherita e nella vita della quercia; il miracolo

della natura di quella prima vera sembrava destinato a

durare per sempre.

Ma un po’ alla volta le cose cambiarono: senza sapere

il perché, la quercia si accorse che sui suoi rami non si

posavano più gli usignoli, che da sempre erano soliti farlo;

solo il merlo era restato a tenerle compagnia. Inoltre, sotto

i suoi rami non si fermavano più i viandanti a ristorarsi

d’ombra fresca né i bambini a giocare e a raccogliere le

sue foglie... Ma il fatto più grave era che, a forza di piegar -

si verso la margherita, la quercia sentiva che si stava spezzando...

e proprio dalla parte della margherita! L’avrebbe

certamente schiacciata e spiaccicata sul terreno come

niente! Povera margherita! Che cosa fare?

Mentre la margherita dormiva e sognava, e la brezza

della sera le carezzava i petali sorridenti, la quercia raccolse

tutte le sue forze e cercò di raddrizzarsi verso il ciclo,

ma faceva una fatica enorme; guardava la margherita e poi

diceva tra sé: no, no, tu devi essere la margherita, io la

quercia; torniamo come prima!

E, dopo vari sforzi, riuscì a drizzarsi per un pochino...

fu allora che un raggio dell’ultimo sole della sera scosse la

margherita, che destatasi, stropicciando i petali, dapprima

non si rese conto di cosa stava succedendo, poi, vedendo

la quercia più in alto chiese fiocamente: “PERCHÉ?”, e

già un velo di ombra la raggiunse; la notte era ormai vi -

cina. Richiese, sgranchendosi la voce, pensando che la

quercia non avesse sentito: “PERCHÉ?”, ma non ottenne

altra risposta che l’eco buia di quella notte ormai fatta.

Non vedeva nemmeno più la quercia, tanto il buio era

fitto, ma, il peggio, non se la sentiva più vicina, anzi la

sentiva allontanarsi irrimediabilmente, irreparabilmente...

Chiese e richiese ancora, tante volte, insistentemente e

dolcemente: “PERCHÉ”?, “PERCHÉ?”,... ma sempre un

assurdo silenzio e un buio cupo le facevano da risposta.

In quel tremendo terrore notturno la quercia, continuando

i suoi incredibili sforzi di raddrizza re sé stessa,

distingueva solo le gocce di rugiada che, là sotto, scendevano

dai petali del suo fiore, e che la luna, pur fioca, faceva

scintillare nel loro cadere a terra. Ogni PERCHÉ della

margherita era un pressante invito a richinarsi, a rivivere i

momenti belli di quella vicinanza, ma resisteva, pur soffrendo

terribilmente, sapendo che solo così l’avrebbe

lascia ta veramente viva! Erano momenti di un’assurdità

spaventosa: la margherita non vedeva, non capiva, non

comprendeva il perché la sua quercia la stava

abbandonando... perché non gli diceva più nulla, non glielo

spiegava; e si sentiva morire. La quercia, nondimeno,

nei suoi sforzi sentiva il richiamo del ritorno, ma non voleva,

e non par lava, perché sapeva che la parola l’avrebbe

ripor tata laggiù, là dove c’era la sua margherita... avrebbe

voluto farle capire, avrebbe voluto spiegarle, ma come?

Ormai, da così lontano, tutto era impossibile; voleva

dirle tante e tante cose, ma poi vinceva il suo desiderio di

salvarla, e allora taceva, e si medita va quelle cose tra sé,

mentre si sollevava con i rami sempre più in alto e lontano

da lei: è per il tuo bene, margherita; vorrei tornare lì

vicino, ma rischio di soffocarti, e allora è meglio così; solo

così tu vivrai certamente... (e tante altre cose); e mentre

così pensava si sentiva morire dall’impossibilità di viverle

là vicino. Intanto la sua corteccia era diventata già più

ruvida, non era più morbida e non risplendeva più.

Dall’alto sentiva, laggiù, come la voce di un ferito solitario

che invoca da lontano nel cuore del la notte, il fioco

sussurro di una preghiera incessante che ancora saliva

dalla sua margherita: PERCHÉ, PERCHÉ, PERCHÉ... ed

era un grido che per entrambi straziava il cuore.

Furono quelle prime luci dell’alba che a poco a poco

risvegliavano il paese a richiamare alla realtà di quel giorno

la margherita e la quercia. Uno strato di gelida brina si

stendeva coprendo ogni cosa, ogni albero, ogni fiore...

adesso anche loro!

E sopra lo strato di brina una nebbia fittissima sembrava

voler proclamare con tono solenne: SU, SVEGLIA, È

ARRIVATO L’INVERNO!

La margherita, intirizzita, starnutì più volte, poi stringendosi

nei petali pensò: mah, ho preso il raffreddore; e si

chiuse ancor di più.

Fu allora che il buio le fece sentire la mancanza di...

dischiuse lentamente i petali e guardò avanti a lei; là,

fuori, la quercia la stava fissando, ma con uno sguardo

come assente: sembrava che lei non fosse lì, eppure era

sicura che stava fissando proprio lei.

Rimasero così, immersi nel silenzio, nel freddo, nella

nebbia... la margherita ora era di nuovo piccola, i suoi

petali tremavano per il freddo, e accanto a lei l’erba alta

quasi la soffocava... ma no, non era l’erba alta, era lei più

piccola; senti va la nebbia pesare su di lei, il freddo pareva

stringerla, quell’inverno le sembrava quasi richiamare il

silenzio doveroso in quella circostanza. La quercia era alta

e ritta, e pareva più di marmo che di legno; la nebbia attorno

la faceva somi gliare ad una colonna che regge un tempio

ormai caduto, la brina rendeva gelide solo al vederle,

le sue radici, che si immergevano in un terreno freddo e

duro. Il fiore era ora una margherita come ogni altra normale

margherita, la quercia era identica ora al le piante

simili a lei. Rimasero così, nel silenzio, accennando

ciascuna solo nella propria fantasia ai ricordi di quando...

e di quando... e di quando...

La mattina trascorse senza sole, la brina a poco a poco

scomparve e restò un velo umido a ricordare che si era

d’inverno; poi, anche la nebbia scomparve diradandosi.

La quercia e la margherita si ritrovarono così tra querce

e margherite, tra erbe raggelate dal freddo e tra gocce

d’umidità che cadevano lentamente sulla terra dura scivolando

verso il fiume ghiacciato.

Rimasero così ancora per un po’, fissandosi quasi come

se una non vedesse più l’altra, risognando in sé stesse i

tempi del sole della primavera e del crescere insieme, vicini,

mai lontani così come ora.

D’un tratto un raggio di sole fondendo la nebbia lontana

li raggiunse e li illuminò, e la margherita e la quercia si

aprirono per ricevere quel segno di vita, di calore, di serenità;

ma proprio allora una scure inaspettata raggiunse il

tronco del la quercia tranciandole la luce della vita.

Era il legnaiolo che, per potersi scaldare al camino con

la propria famiglia, aveva scelto la quercia, proprio quella...

La margherita, fissando le radici senz’anima dell’albero,

chiese: Perché? e richiese ancora per parecchio

tempo.

Alla sua domanda né lei né altri che incontrò nella sua

vita di fiore seppero mai dare risposta.

Questa storia si svolse in un ridente paesino sulla faccia

della terra, dove la vita continuò ancora per tanto

tempo... Anche la margherita, insieme con tanti altri fiori,

viveva lietamente e serenamente, e il ricordo della vicina

quercia diventava ormai sempre più sbiadito: l’erba crescente

della nuova primavera in arrivo stava coprendo i

pochi resti delle radici dei ricordi.

Così per la margherita un po’ alla volta la vita tornò

come prima, normale.

Non le mancava quasi nulla... o forse soltanto una cosa:

quegli unici, irripetibili, affascinanti raggi di quel misterioso

sole birichino che l’avevano raggiunta quel famoso

giorno di primavera.

Oggi, mercoledì 15 aprile, un anno dopo.

È la prima volta nella mia vita che così intensamente

provo un’emozione cogliendo una di quel le numerose

nuove margherite che la primavera sta regalando.

Prima osservata da lontano, l’avevo poi scelta tra le

molte altre pensando: forse questa le sembra di più! Le

margherite sono tutte uguali, in realtà, ma viste con il

cuore mi sembravano in quel momento rappresentare

ognuna una persona di versa; le sapevo distinguere come

riconoscendo in ciascuna di esse il volto di una o di un’altra

delle persone amiche. E l’avevo colta, quasi con

dispiacere per aver mela presa vicina e non invece averla

lasciata là, con le altre; ma ormai era cosa fatta.

La osservavo come stupito, come se per la prima volta

avessi visto cos’era un fiore. In essa contemplavo lei, rivivevo

i nostri ricordi, e mentre mi stava prendendo un nodo

alla go la, le lacrime già avevano inondato i miei occhi.

Con in mano la margherita, quella margherita, camminavo

lentamente lungo il viale ripercorrendo, attraverso di

essa, le cose passate, mentre, in consciamente, me l’ero

portata alle labbra; e i suoi petali delicati le sfioravano,

procurando brividi d’emozioni. L’avevo infine contemplata

a lungo ancora una volta, assaporando quel suo profumo

che mi ri chiamava la gioia dei momenti felici; poi,

dalla mano l’avevo lasciata cadere laggiù, verso la strada

che imbocca la valle, dicendole addio.