Ho provato più volte a rintracciare Mousette per telefono,
in questi giorni; non deve essere a casa; chissà dove
sarà... dalla figlia o in giro... doveva anche farsi operare in
questo periodo... che sia già in ospedale?
Certo che anche lei, alla sua età, le figlie tutte sposate e
sistemate, andare a cacciarsi ancora nei guai seguendomi da
collaboratrice, come dice lei, da perpetua, come dico io,...
ce ne voleva del co raggio, soprattutto negli ultimi tempi...
Ad esempio, quel giorno in cui avevi una gran paura e mi
ripetevi implorante: smettila, cosa fai?, vedendomi impugnare
quel lungo coltello preso dalla cucina e avviarmi alla
porta deciso, gridando il proposito: lo uccido!
Trattenendomi per i vestiti, con gli occhi impauriti e lacrimanti,
mi supplicavi di smetterla, di ave re pazienza, che
tutto prima o poi si sarebbe concluso serenamente, che un
giorno o l’altro mi avrebbero finalmente trasferito...
Ora che quelle assurdità sono finite, anche tu adesso sei
serena, ma prima!...
I contrasti sempre più laceranti tra me e padre Noir, tra il
non amare e l’amare lei, tra il fare e il non fare, tra l’essere
e il non essere prete, tra idee e pratica, tra pazientare e agire,
tra andarmene e restare lì, già essi rendevano la mia vita
tanto assurda. .. quand’ecco che padre Noir, forse seguendo
inconsapevolmente questo destino misterioso, diede l’ultima
profonda mazzata.
“Se la cosa poi è grave vengo io con te dal ve scovo”,
aveva concluso, dopo avermi detto di aver sentito in giro
certe voci sul fatto che mi trovavo in profonda confidenza
con quel gruppo di ragazzi e, soprattutto, con quelle ragazze
che frequentavo così spesso e volentieri.
Addio Company! pensai tra me e me.
“Adesso devi buttarti nell’attività, recuperare quella
gioia che avevi quando eri all’inizio del tuo sacerdozio. Io
ti ho sempre dato fiducia e te ne do ancora, anche adesso”,
e io a questo punto non sapevo se esplodere in una forte
risata o lasciarmi an dare in un pianto a dirotto, ritenendo
quest’ulti ma frase come una gran falsità e vedendo che lui
non se ne rendeva ancora conto. Ma non feci né l’una né
l’altra cosa, rimasi in vece impassibile a sentire la continuazione.
“Mi ero accorto, io, che già da tempo avevi due occhi
da innamorato...” e sogghignava gongolandosi sulla poltrona
della sua scrivania, mentre io gli risposi col pensiero: e
perché non richiamarmi subito, invece di dirmelo solo ora?
“Beh, comunque adesso lasciali perdere tutti, opera una rottura
decisiva con loro!” disse con to no risolutivo rimettendosi
a posto sulla sua poltrona, come un maestro che ha
appena terminato di dettare. Aveva poi continuato a parlare
ancora per un po’, ma io ormai non seguivo più le sue parole
per ché la mia mente era volta altrove: a lei e alla
Company, a quest’ultima isola speranza di salvezza che
pensavo di avere raggiunto, mentre ora mi senti vo affogare,
senza più alcuna possibilità. Respiravo già l’aria pesante di
quell’atmosfera di tristezza e di sconforto che avrei sperimentato
presto, e avvicinandomi all’ingresso per uscire dal -
la canonica mi sembrava ci fosse ad attendermi, là fuori, un
mondo solo disumano, crudele ed ingiu sto.
Ad attendermi invece c’era la Company, e c’era lei; loro,
tutti mi salutarono, come al solito,... io, niente, né saluto, né
uno sguardo, né un altro gesto. Proseguii imperterrito verso
casa, come imperturbabile e indifferente, ma con dentro di
me uno sconvolgimento tale che mi avrebbe fatto gridare:
come posso vivere così? ! Perché? !...
A casa Mousette stava allestendo la cena, e appena mi
vide entrare mi venne incontro per dirmi che... ma si fermò,
intuendo che c’era qualcosa di troppo strano in me.
Sbattendo la porta dell’ingresso mi rifugiai nel lo studio,
imprecando e parlando ad alta voce per farle sentire che
avevo ragione... che non si può giungere a questi punti, che
è ora di finirla con la pazienza, che adesso non ne potevo
proprio più, che l’avrei ammazzato, quel... (qui vari titoli in -
dicibili), che avrei fatto questo e quello.
Poi uscii dallo studio continuando a declamare con tono
acceso, andando su e giù per il corridoio, entrando in cucina
e imitando con gesti e parole i comportamenti di padre
Noir. Ma non mi riferii mai al fatto della Company, che non
potevo più ora frequentare per sua proibizione, perché sa -
pevo che poi Mousette avrebbe intuito, anche se un po’ già
lo sospettava, di me e di lei.
Ormai mi ero infuocato con le mie arringhe difensive e
mi sentivo sicuro.
Mousette cercava di calmarmi, ma più tentava di farlo
più io con estremo gusto calcavo la mano e la voce, e sarebbe
andata avanti così per chissà quanto ancora se io, al
colmo del furore, non avessi sbattuto con forza contro la
lastra di vetro del l’armadio della cucina, mandandola in
mille frantumi. Lei Impaurita salì in fretta al piano di sopra
piangendo e mormorando qualcosa con voce singhiozzante;
io, tornato nello studio, sdraiato sul la poltrona rossa, cercavo
la calma dopo quel tre mendo sfogo.
Da allora con Mousette i miei rapporti erano di ventati
sempre più difficili: né parole, né sguardi, solo sedersi per
mangiare, in fretta, con gli oc chi fissi alla televisione senza
seguire ciò che veni va trasmesso.
Io pensavo ai miei problemi sempre più grossi, lei rifletteva
preoccupata su cosa mi stava succedendo in quei giorni,
e intanto vedevamo un qualunque programma.
Da parecchi giorni ero riuscito ad evitare di in contrarmi
con qualcuno della Company, tanto più se era lei; anche se
poi, nel mio breve passeggio quotidiano in paese, speravo
sempre, dentro di me, di poterla incontrare, anche solo per
caso. Ma quando mi accadeva di imbattermi in uno di loro,
subito un dietro - front o proseguire con estrema indifferenza,
pur sentendo il cuore scoppiare. .. e quando era lei che
incontravo o anche so lo scorgevo da lontano, mi sentivo un
verme schifoso nel comportarmi in quel modo tanto assur -
do e infantile... ma continuavo, perché... dovevo continuare!
Loro avevano pensato dapprima quasi ad uno scherzo,
ad uno dei miei soliti scherzi... ma in seguito, di fronte alle
cose che non accennavano a cambiare, se ne erano preoccupati,
ne parlavano ogni sera, quando, ritrovandosi, mi avevano
vi sto passare indifferente, o evitarli, o addirittura guardarli
con un’occhiata di disprezzo. Non ne capivano il perché;
avevano cercato anche di chiedermelo, ma io avevo
sempre rifiutato di rispondere.
Chissà lei!
Solo al pensarci stavo doppiamente male! Evitavo in
ogni modo di pensare a lei, anche se sapevo di non riuscire
a pensare ad altre cose da fa re, perché anche volendo non
avrei avuto alcuna possibilità di buttarmi, come diversivo,
in qual che attività... quale? Qualsiasi fosse stata, padre Noir
l’avrebbe presto sepolta, dicendomi poi con la sua apparen53
te gentilezza: ma guarda che io ti do fiducia, ti vo glio
bene,... uccidendomi con quei suoi modi tan to gentili e
insieme tanto crudeli che avevo da sempre sperimentato.
Fu così che a poco a poco mi rinchiusi sempre più in me
stesso, rimanendo in casa, cercando di distrarmi imparando
a suonare la chitarra, la sciando che il tempo trascorresse
ascoltando la musica, rimanendo varie ore seduto in poltrona
a non desiderare altro che di starmene lì incantato ed
assorto, rimuginando tutti i miei problemi e in questo modo
ingigantendoli più di quanto già mi erano pesanti. Pensavo
poi a padre Andrew che era riuscito ad andarsene in tempo,
a scappare via, come diceva lui; ripensavo alle tante volte
che, in seguito, mi aveva raccomandato: ma vai, prendi su e
vai via! Anche lui, sebbene solo in parte, aveva sofferto con
padre Noir, finché non ce l’aveva fatta più... se ne era andato
in quella nuova parrocchia nella quale ora viveva sereno.
Io invece ero ancora lì, con la causa di tutti i miei problemi,
e chissà quando sarei riuscito ad andar mene... ma andare
via per me ora significava an che lasciare lei, e poi quell’ambiente
sereno del paese al quale ero troppo affezionato.
Ma resistere così...?
Ogni giorno era una nuova sofferenza più acuta e un problema
più grave, cominciando da quan do temevo di vedere,
anche solo da lontano, padre Noir; e poi quando scorgevo lei,
che non potevo avere e amare; e poi quando vedevo il grup -
po, che così assurdamente evitavo ma volevo frequentare; e
poi quando... Ed è proprio vero che se un problema sorge,
tutti gli altri gli si nascondono dietro: senza più serenità,
senza più possibilità, senza più nulla che mi desse un senso
nella vita, ora mi ritrovavo solo, con la mia solitudine: avevo
iniziato a fare esperienza di cosa significasse trasgredire il
sesto co mandamento: non commettere atti impuri.
E la mia masturbazione era sempre più spesso lo sfogo
assurdo di fronte a questa mia situazione travagliata e senza
più soluzioni. Per evadere un po’ da essa avevo pensato an -
che alla possibilità della droga, ma non avevo poi avuto il
coraggio della decisione, forse anche per la paura e la vergogna
di essere scoperto “drogato”, che mi avevano trattenuto.
Mi era poi anche venuta la tentazione di sfogar mi nel
piacere, provando a trascorrere una serata con una qualche
prostituta..., sì, ne avevo notate alcune, ogni tanto, ai bordi
di qualche strada, avrei potuto rintracciarle facilmente... ma
a trattenermi fu soprattutto la paura di contrarre qual che
malattia infettiva.
E Mousette si preoccupava sempre più del mio silenzio
e del fatto che, a pranzo, scolavo quasi un litro di vino ogni
volta, io, che prima non lo ave vo mai bevuto, io, che sapevo
di avere l’ulcera e che ora non mi curavo più, cosa che
facevo invece prima.
Si preoccupava nel vedermi adesso quasi sempre chiuso
in casa, mentre un po’ di tempo prima era impossibile che
ci rimanessi più di dieci minuti in una giornata.
Si preoccupava del fatto che io non ero più io, che ora
reagivo e scattavo subito d’ira, imprecando e dicendo anche
delle parolacce; di ciò ora mi stupido molto anch’io; mi
meravigliavo e preoccupavo di questo cambiamento di me
stesso, di questo peggioramento.
Nei momenti dell’ira ero quasi certo di essere un indemoniato,
e ricordandomi di quello del vangelo posseduto da
una legione di porci, paragonandolo a me, lo consideravo
ancora un santo.
E tutto così peggiorava e sprofondava irreparabilmente.
L’unico barlume che ci poteva essere era il pensare un poco
a lei, ma poi mi accorgevo che ciò pro curava solo nostalgia
e timori continui, ponendo mi di fronte soltanto ad una realtà
ormai impossibile da affrontare, a nuove problematiche;
quindi cercavo di scacciare via da me quei pensieri co me
tentazioni, anche se ciò era impossibile: dentro di me ero
certo di amarla ancora, nonostante il nulla pauroso che
stavo diventando, perché lei era, nonostante tutto, l’ultimo
lumicino di speranza che mi restava.
Enormemente straziato in me stesso, ero anche giunto a
voler risolvere il tutto sparendo dalla mia stessa vita: avrei
così risolto tutto per me, non avrei più dato fastidio a padre
Noir; lei poi avrebbe potuto vivere normalmente, e anche per
tutti gli al tri, me ne convincevo sempre più, sarebbe stato un
vantaggio. E mi ricordavo allora di quell’anziano sacerdote
amico mio che mi aveva un giorno confidato la sua decisa
tentazione di suicidarsi, ma poi non lo aveva fatto solo per la
gente, che si sarebbe certa mente scandalizzata di fronte a
ciò, anche se egli rimaneva ancora convinto fosse quella la
cosa migliore che avrebbe voluto fare per risolvere i suoi
molti problemi. Non so esattamente cosa fu a trattenere me
dal realizzare questa decisione; ricordo solo quella notte
nella quale con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima e
con tutte le mie forze avevo prega to Dio di farmi morire... e
certo fu Lui che, chissà come, mi tenne a galla.
Infatti, non riesco ancora a spiegarmi come in tutta questa
confusione fossi riuscito a mantenere fissa sempre una cosa:
la mia preghiera, costituita dalla meditazione del mattino,
dalla celebra zione della messa, dalla recita del breviario... so -
prattutto da quest’ultima, che svolgevo sì puntualmente, ma
sempre con molta distrazione e con assenza di impegno,
quasi per abitudine... ma sempre... e a non farmi smettere era
stato il ricordo di quel racconto ascoltato chissà dove e
chissà quando, e che riguardava un monaco orientale
che diceva a un altro monaco: “Cosa ti ricordi del bre -
viario che hai recitato questa mattina?”; “niente” aveva
risposto quello.
“E allora, perché continui a recitarlo?”; “perché – aveva
ripreso quel saggio monaco – ritengo che la recita del breviario
a volte sia paragonabile al lavare l’insalata: l’acqua
passa sulla verdura e non resta, però lava l’insalata. Così la
recita del breviario: anche se non ce la ricordiamo nei contenuti,
essa ci aiuta ugualmente anche solo per il fatto che
lo si recita”. Con questo ricordo io avevo perciò continuato
costantemente la celebrazione quotidiana del breviario,
anche se non so ancora oggi in quale modo mi può essere
stata d’aiuto. Infatti poi il resto, le mie preghiere, trovavano
quale risposta ad esse solo il silenzio totale da par te di Dio.
Non vedevo più il mio Dio sorridente, quasi quasi non lo
vedevo più... Lo invocavo ma la risposta mi sembrava solo
l’eco della mia domanda, lo chiamavo e non lo sentivo più,
e non capivo... I miei molti perché si innalzavano sempre
me no a Lui e si rivolgevano invece sempre più a me; e da
me risalivano come falsa preghiera, non avendo trovato
risposte: era un circolo vizioso che al largava solo esasperazione
e disperazione.
Con Mousette prima, ogni tanto, mi recavo an che a trovare
i miei, la famiglia, oppure andavamo a far visita a zia
Delcy. Ma ora che non desideravo vedere nessuno, ci andavo
sempre più raramente e sempre di sfuggita. E quando una
volta mia madre, pensando di sol levarmi un po’ il morale, mi
consigliò di portare pazienza con padre Noir, sentii questo
come un rimprovero, ed esasperato me ne andai via da casa
dicendo che non sarei più tornato a trovare nessuno di loro.
Ed ora mi trovavo veramente solo: isolato, di sperato, esasperato;
mi sentivo abbandonato, inutile, un morto vivente.
Solo: senza più Dio, senza lei e senza gli altri amici,
senza più nessuno; ed anche senza me stesso, perché in me
ora c’era soltanto solitudine.
Ero ancora un sacerdote? E, prima ancora, ero un uomo?
Ero ancora qualche cosa? Cosa ero?
Inaspettata, come una accecante esplosione di luce improvvisa,
giunse la salvezza da lei: quella lei che giaceva morente
nel profondo del mio cuore che consideravo ormai morto.
Caro don, probabilmente avrai già capito chi è che ti
scrive e, per il momento, ti chiedo solo una cosa: non gettare
questo insignificante pezzo di carta, prima di averlo letto.
Ormai sono passati parecchi mesi, troppi forse, da quando
tu non accenni nemmeno ad un sa luto.
Credevo che, malgrado ciò che è successo, avresti potuto
almeno, di volta in volta, parlarmi, dir mi qualcosa, farmi
un sorriso.
Invece niente, niente di ciò che avevo sperato: tu hai
continuato il tuo comportamento da menefreghista, ed io,
invece, ho continuato a soffrire in silenzio.
Ora però non ce la faccio più ad andare avanti così, sento
il bisogno di dirti che ti voglio ancora bene e che te ne vorrò
per sempre. Quando ti vedo provo ancora quella bellissima
sensazione; molte volte ripeto a me stessa che ti odio, ma,
“purtroppo”, al cuore non si comanda e il mio mi dice che
ti amo, forse ancora più di prima.
Sai, mentre ti scrivo sto ascoltando Reality, for se tu non
te ne ricordi, ma io sì, eccome se me ne ricordo.
Questa è stata la nostra canzone e, ogni volta che l’ascolto,
una lacrima scorre sul mio viso segnandolo come tu hai
segnato il mio cuore. Ripenso allora ai bei momenti che ho
vissuto in quel periodo in cui ti sentivo sempre accanto a
me, in cui anche tu ricambiavi i miei sentimenti. Vorrei dirti
tante cose, ma ho sempre saputo che quelle vere si dicono
in silenzio, quindi non aggiungo altro.
E gli avevo subito risposto.
Hai fatto rivivere il mio cuore che si stava or mai immergendo
nella totale disperazione... altro che menefreghismo...
certo, sono stato “bravo” a nascondermi dietro a una
finta indifferenza. .. e tu ci hai creduto.
Ma dietro il mio menefreghismo il mio cuore non ti ha
lasciata un istante, ed anche se a volte in consciamente, il
mio pensiero ti ha sempre ricordata, il mio sguardo ti ha
sempre cercata, il mio passo ti ha sempre avvicinata, le mie
labbra ti han no sempre pronunciata, le mie lacrime ti hanno
sempre pianto... Te l’ho nascosto bene, questo mio cuore,
ma ogni giorno che passava, proprio come te, an ch’io mi
dicevo: non ce la faccio più... Dio, fammi morire!...
Anch’io, come hai fatto tu, voglio ora ripeterti con una
intensità infinitamente più grande di prima: ti voglio bene!
Quante volte la nostra musica preferita, Reality, me la
risento, quante volte ripenso ai bei momenti vissuti insieme
a te... Proprio perché ti amo volevo lasciarti libera, uscire
dalla tua vita, non ostacolarti e condizio narti, ma mi trovo
oggi a doverti dire che questo modo assurdo di comportarmi
non va bene né per me né per te. E poi, ogni persona
ragionevole ad un certo punto fa finire queste assurdità.
Grazie per questa incredibile, indicibile, impos sibile,
irragionevole esperienza che mi porta ad es sere sempre più
folle di gioia e di amore! Vorrei chiederti ora perdono, ma i
tuoi occhi so’ che mi stanno esprimendo già tutto... spero di
in contrarti sempre, presto, di nuovo... mi manchi!